fbpx

A tu per tu con i Wanna Riot – Rancid Tribute Band

All’indomani del concerto che li ha visti sul palco del Circolo Everest di Vimodrone, pubblichiamo l’intervista al gruppo Wanna Riot – Rancid Tribute Band.

Buona lettura!

I.S.:  Come nasce il vostro gruppo?

W.R.: Noi quattro ci conosciamo da quando siamo adolescenti, cioè da quando ognuno di noi ha iniziato a suonare. Abbiamo anche avuto altre esperienze insieme. Io, Patrick e il Gio in particolare abbiamo fatto parte di una “scena punk” che ora farei fatica a dire se esista ancora o no. Quando, da parte mia, ho avuto la sensazione che continuare ad avere un gruppo punk non potesse più fare da collante tra me e ciò che mi circondava, ho pensato che comunque fosse l’occasione per fare una fotografia di quello che siamo stati e dire: ecco, guardate che bello. Così ho iniziato a molestare gli altri tre per fare questo progetto di “tributo” ai nostri ispiratori, che secondo noi, a chi ascolta musica in generale, conviene conoscere.I.S.: Se ti dico musica tu cosa mi dici?
W.R.: Ti dico quello che significa per me quando salgo su un palco, cioè aggressività e tranquillità allo stesso tempo. Per me è come una pace dei sensi, non dico tanto il suonare in sé, quanto l’esibizione live. Io ho sempre vissuto la musica come dimensione live, cioè come sua condivisione. Suonare da solo in sala è una cosa che non mi ha mai soddisfatto, per me la tranquillità arriva solo quando sono in mezzo ad altri e mi sento a mio agio. Certo, chi ha suonato sa benissimo che ci si può anche sentire moltissimo a disagio in alcune situazioni: l’esperienza e il lavoro servono esattamente a limitare queste situazioni. In secondo luogo quando dico aggressività la collego a una dimensione di protesta, anche se primitiva perché senza obiettivi precisi: è l’atto stesso della protesta a partire dalle onde sonore frastagliate e dai movimenti del corpo non lineari.

I.S. Dove vedete i Wanna Riot tra 10 anni?

W.R.: Questo è un progetto che potrebbe esistere all’infinito, d’altronde lo facciamo per divertimento e non è dedicato alle nostre canzoni. Magari tra 10 anni avrà ancora più senso che ora: ad esempio, i Rancid esistono ancora, questo rende un po’ irrazionale omaggiarli come se se ne fossero andati, ma questo lo facciamo appunto perché pensiamo che il meglio, in quell’ambito, sia andato. Sia chiaro non siamo romantici né nostalgici dell’età dell’oro, solamente la musica ha preso altre direzioni, che speriamo siano ancora in grado di stupire. D’altro canto, questo progetto continuerà fintanto che ci divertirà e non certo per un rinnovato business, perché non è con questo che qualcuno di noi diventerà una rock-star. Tra 10 anni potrebbe essere ancora lo stesso come non esistere più, oppure essere dedicato ad altri gruppi che ci hanno influenzato, chi lo sa.

I.S. C’è ancora spazio per il genere Punk nel panorama italiano? O forse dovremmo dire “C’è mai stato?”

W.R. Certo che c’è stato. Alcuni gruppi hanno fatto anche un’ottima carriera, mi vengono in mente i Punkreas e gli Shandon che io ho sempre amato, altri come gli Omini Verdi (in cui suona il Gio) sono ancora in attività. Se questo spazio ci sia ancora bisogna vedere dove lo si cerca: nel mercato? Allora secondo me no, perché i gusti di massa sono cambiati e per un altro motivo che si mescola alla risposta che darò successivamente: il punk è sempre stato legato a minoranze sociali (non per forza politicizzate) da un lato e ad alcuni principi di autogestione dall’altro; perso il legame con questo tipo di esperienze, manca una base a cui ancorare il mercato. Tuttavia… esistono esperienze autonome, vere e proprie isole, in cui il punk potrebbe anche non morire mai (stiamo sempre parlando della musica), ma questo al di fuori del mercato.

I.S. un salto nel passato: quale momento vi siete persi che ha segnato il panorama musicale a cui vi ispirate?

W.R. Ci siamo persi il ’77, siamo nati tutti dopo. Un’epoca in cui la violenza era all’ordine del giorno come espressione di qualsiasi cosa: arte, ideologia, politica. Il punk in principio fu violenza in effetti. Siamo cresciuti in un background completamente differente, quello degli anni ’90, in cui si cercava di innestare quegli spunti artistici e polemici in un panorama culturale in cui la violenza era stata eliminata. Diciamo quindi che non abbiamo provato sulla nostra pelle cosa significasse suonare in certi ambienti nell’epoca in cui la musica cui ci siamo ispirati è nata. A conti fatti, potrebbe poi non essere una grossa sfiga, ha poco senso pensare “cosa avrei fatto se ci fossi stato nell’anno x”…

I.S.: Tre parole per descrivere la vostra musica

W.R. Passione, impulsività, sicurezza

I.S.: Se ti dico everest tu cosa mi dici?

W.R. So che il nome è ereditato, sarebbe interessante fare una ricerca sul perché i locali da ballo un tempo venivano chiamati con nomi esotici e in base a quali gusti. Per quanto riguarda il circolo, ieri è stata la prima volta che ci abbiamo messo piede, siete aperti da poco, quindi in bocca al lupo per la vostra attività culturale!

 

 

 

Torna su