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Il progetto vincitore del Bando IntercettAzioni in residenza all’Everest – Spazio alla Cultura

Fuga dall’Egitto è una performance teatrale che unisce il teatro documentario alla musica, in un intreccio tra parola, cinema del reale e sonorità orientali live.

Ideato da Miriam Selima Fieno con l’ausilio di Nicola Di Chio il progetto trae ispirazione dal libro “Fuga dall’Egitto inchiesta sulla diaspora del dopo-golpe” della giornalista e docente universitaria Azzurra Meringolo Scarfoglio, che getta luce sul fenomeno della diaspora egiziana post-2013, ovvero su tutti quegli attivisti che, traditi dai militari e minacciati di repressione e tortura in Egitto, sono stati costretti a scegliere la via precaria e dolorosa dell’esilio. Il progetto, vincitore del Bando IntercettAzioni, ha da poco concluso la residenza artistica presso l’Everest – Spazio alla Cultura di Vimodrone. Prima di salutarci, ci siamo fatti raccontare da Miriam e Nicola qualcosa in più sul loro progetto.  

 

Presentatevi brevemente.

Io sono Miriam Selima Fieno, sono un attrice diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine. Dopo aver frequentato la facoltà di archeologia all’Università di Genova, ho capito di voler intraprendere un percorso teatrale e mi sono iscritta alla Nico Pepe, dove mi sono diplomata nel 2011. Successivamente ho lavorato per quasi 10 anni in una compagnia teatrale fondata da me, Nicola e Paola. Dopo lungo percorso di lavoro insieme, ciascuno ha intrapreso una strada indipendente e adesso siamo qui in residenza grazie alla vincita del Bando Intercettazione con il progetto “Fuga dall’Egitto”. 

 

Io sono Nicola Di Chio e sono un attore. Anch’io, come Miriam, mi sono diplomato nel 2011 all’Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe”. Ho lavorato prevalentemente come attore ma sono stato anche autore e regista durante l’esperienza con la nostra compagnia. In questo periodo stiamo lavorando contemporaneamente a due progetti che si sono accavallati a causa dell’emergenza sanitaria: “Fuga dall’Egitto” e “From Syria”, spettacolo che ha avuto una menzione dalla giuria del Premio Scenario. Sono progetti in qualche modo collegati tra loro perchè riguardano due luoghi bagnati dal Mar Mediterraneo, un mare che abbiamo considerato importante per quello che accade nelle sue acque.

 

Qual è la vostra idea di teatro?

(Nicola) Il teatro è sempre la sintesi di quello che accade nel quotidiano, nella nostra società. In questo momento il teatro deve provare a raccontare le storie in maniera diversa. Viviamo una quotidianità che è totalmente cambiata rispetto a un anno fa, non solo a causa della pandemia, ma anche per i nuovi input, i nuovi giovani, la nuova musica, i nuovi politici e le nuove prospettive. Il teatro deve cambiare nella forma, lo diceva già Cechov né “Il Gabbiano”, ma deve anche provare ad assumersi una responsabilità forte rispetto a quello che racconta. Personalmente non mi interessa più parlare del trentenne depresso, di quanto si sta male. Quello che mi interessa è alzare il livello delle storie e per fare questo sono necessarie storie che riguardano il mondo. Per questo abbiamo scelto di parlare dell’Egitto e della Siria.

 

(Miriam) Il teatro deve scomodare lo spettatore, essere politico. L’artista che va in scena deve assumersi la responsabilità del messaggio che vuole comunicare. Il teatro deve dare allo spettatore la possibilità di riflettere, di rileggere la contemporaneità. Deve stuzzicare e creare curiosità. Il pubblico deve uscire dalla sala con un pensiero, con un’idea, con una voglia di informarsi, con la voglia di cambiare la propria quotidianità. Il teatro deve avere la forza e la pretesa di cambiare il mondo. 

 

In che cosa consiste il teatro documentario? 

(Nicola) Il teatro documentario, almeno per come lo pensiamo noi, cerca di spettacolarizzare il reale. Racconta quello che accade nel mondo e prevede uno scrupoloso lavoro di ricerca sul campo. Proviamo a mettere nelle mani dello spettatore una verità sempre più evidente, grazie anche alla forza dell’attore e alle persone che coinvolgiamo. Negli spettacoli usiamo anche software, telecamere e dispositivi che sono molto simili a quelli del cinema. Crediamo che la forza del teatro, con l’utilizzo di alcuni strumenti del cinema, possa dare una forza diversa allo spettacolo.

 

(Miriam) Il teatro documentario si avvale di contributi video, video girati precedentemente che documentano l’argomento di cui si sta parlando, video che riprendono lo spazio scenico oppure immagini di fotografie, reperti, oggetti che l’attore mostra allo spettatore. Si gioca molto con l’immagine, l’immagine in diretta, l’immagine proiettata. L’attore guida il racconto ma è qualcosa che in quel momento sta vivendo realmente, nel senso che sulla scena sono Miriam e con la mia ricerca guido le storie che racconto. I protagonisti sono davvero i protagonisti di queste storie e partecipano allo spettacolo attraverso i video o con la presenza scenica, come nel caso del musicista egiziano che suonerà dal vivo in “Fuga dall’Egitto”. E’ un tipo di teatro legato totalmente alla verità, alla contemporaneità e alla realtà. 

 

Di cosa parla il vostro progetto? 

(Miriam) Siamo partiti dal libro di Azzurra Meringolo Scarfoglio che si intitola “Fuga dall’Egitto”, un libro che mette insieme le storie di giovani o meno giovani esuli egiziani. Si tratta di persone che sono dovute scappare dal loro paese perché minacciati per le loro idee e sono giornalisti, politici, attivisti ma anche medici e artisti, poeti, invisi al regime per aver parlato della violazione dei diritti umani che avvengono quotidianamente in Egitto. I protagonisti di queste storie hanno dovuto abbandonare il proprio paese e fuggire da un momento all’altro in Europa e in altre parti del mondo. Azzurra ha conosciuto queste persone durante la rivoluzione del 2011 e, una volta concluso il suo dottorato a Il Cairo, ha ritrovato queste persone e si è fatta raccontare quello che hanno subito nel momento in cui erano in Egitto. 

 

Nello spettacolo incontreremo virtualmente o dal vivo alcuni di questi protagonisti e ci faremo raccontare la loro esperienza. Dialogheremo con loro attraverso il video e poi in carne e ossa, come nel caso di Abdullah, il musicista in scena, che ha lasciato l’Egitto nel 2017 perché inviso al regime a causa della sua musica di protesta. I suoi pezzi venivano cantati in tutte le manifestazione del Medio Oriente e, ovviamente, rappresentava una musica scomoda per il regime.

 

Quali sono i vostri autori, registi o artisti di riferimento? 

(Miriam) Direi dei nomi contemporanei, legati al teatro di oggi, che sanno scuotere, emozionare e che mi fanno uscire dal teatro con la voglia di cambiare il mondo. Cito Milo Rau, Lola Arias, Agrupación Señor Serrano, Gob Squad, i Motus perchè, anche se in modo diverso, fanno quel tipo di teatro che ti apre gli occhi, ti fanno sentire parte di un movimento artistico che vuole portare un messaggio di cambiamento. 

(Nicola) Sono d’accordo con Miriam, vorrei però aggiungere anche Ronconi per tutto il lavoro che ha fatto sul ruolo dell’attore. “Lehman Trilogy” è un lavoro che ci ha segnato profondamente. Vorrei poi citare due persone che mi hanno avvicinato tantissimo al teatro: Michele Sinisi e Michele Santeramo del Teatro Minimo. 

 

Cosa vi interessa comunicare allo spettatore?

(Miriam) Trovare un modo per far riconoscere lo spettatore nella storia che sto raccontando, scomodare il suo animo e cercare un modo per rendere un’esperienza privata una questione collettiva. 

 

Se dico “Se vuoi, puoi!” cosa vi viene in mente?

(Nicola)“Se vuoi puoi” è una delle frasi più belle che noi possiamo dire in questo momento perchè è qualcosa che può determinare davvero il miglioramento delle nostre vite e delle nostre comunità. Dobbiamo però pensarla in una visione collettiva e non fare le cose solo per noi stessi ma anche per gli altri. Solo in questo modo possiamo crescere tutti e rendere più ricca la collettività. 

 

(Miriam) Ciascuno di noi, nel suo piccolo, può rendere una scelta quotidiana determinante per migliorare la contemporaneità e rendere il mondo un luogo migliore.

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