fbpx

Danza e disegno per dire chi siamo. Intervista a Segni Mossi

Ci raccontate chi siete e cosa fate?
(Alessandro) Io sono un artista visivo, faccio libri per bambini, ho fatto il montatore video e ho fatto anche il danzatore per un po’ per la verità, mentre lei è una danzatrice a tutti gli effetti.
(Simona) Sono una danzatrice, sono una coreografa, da anni conduco laboratori per bambini e per adulti di danza, danza di ricerca, danza contemporanea, a seconda di come la vogliamo definire,
(Alessandro) …e insieme facciamo Segni Mossi, questo progetto. Io sono i segni, lei mette il movimento. Ma in realtà i due linguaggi sono combinati, sono sposati, non si capisce dove finisce uno e dove comincia l’altro.
L’idea è proprio questa, trovare una terra di mezzo, esplorandola con i bambini.
Quindi ci muoviamo nello spazio, lasciando dei segni. Alcuni segni sono fatti con i colori su delle superfici fisiche, quindi sul pavimento, sul muro, sul soffitto, su dei cartoncini che si muovono anche loro. Altri segni stanno nella nostra immaginazione, rimangono nella nostra memoria. Sono i segni che lasciamo con tutto il corpo.

 

Come è nato il vostro progetto? In che cosa consiste?
(Simona) Un nostro amico regista ad un certo punto ci ha detto “ma non avete mai pensato di fare qualcosa insieme tra la danza e il disegno?”, Noi vedevamo nostra figlia a tre anni che iniziava i suoi primi esperimenti grafici, bucava i fogli con la penna, con la matita, coinvolgeva tutto il corpo e rendeva questi disegni vivi, un’esperienza, e allora ci siamo guardati e abbiamo detto, facciamolo anche noi!
(Alessandro) Abbiamo iniziato ad andare nelle scuole. Lì per diversi anni abbiamo continuato a sperimentare con gruppi diversi e senza mai seguire un programma, ma creando le diverse proposte, classe dopo classe, partendo sempre dalle suggestioni dei bambini e dai loro rimandi, e non abbiamo quasi mai ripetuto una proposta. Perché l’idea è -appunto- esplorare insieme ai bambini, insieme a loro, sullo stesso piano.
(Simona) Ad un certo punto, abbiamo iniziato a fare formazione artistica, per educatori, arteterapeuti, danzatori. E lì portiamo lo stesso approccio, cioè l’idea non è quella di insegnare un metodo ma è quella di condividere questa nostra modalità, invitandoli il più possibile ad essere parte attiva. Così come facciamo con i bambini: invitandoli a sporcarsi, a giocare, per poi poter attingere da questa esperienza e farne quel che si vuole nei propri contesti lavorativi, partendo anche dalle proprie curiosità, da quella che è la propria esperienza.

 

Avete trascorso questa residenza principalmente presso la vetrina dell’Everest – Spazio alla Cultura. Su cosa avete lavorato?
(Alessandro) La proposta della residenza, che era già un’esperienza nuova per “Segni Mossi” e volevamo comunque avere con noi la gente, i bambini, gli adulti, le persone con cui esplorare. E quindi abbiamo selezionato alcune proposte che abbiamo adattato agli spazi della Vetrina, quindi esposti, tutto il lavoro era visibile dalla strada, e questa cosa qua ci ha intrigato tanto, perché le persone si affacciavano, vedevano questi adulti, questi bambini, questi gruppi misti non meglio definiti che rotolavano, saltavano con il colore in mano, e questo creava molta curiosità, e l’idea era quella di approfittare di questo tempo lungo, per una volta tanto, lasciare che le tracce si depositassero, giorno dopo giorno, fino a costruire un ambiente, uno scenario insomma, fatto di colore. E quindi entrando negli spazi della vetrina nei diversi giorni si attraversavano gli spazi dei rimbalzi, gli spazi dei rotoli, gli spazi dei salti, delle espansioni, gli spazi dei segni.
(Simona) E dei partecipanti, i primi hanno trovato questa “terra vergine” e hanno trovato i primi segni, e poi man mano gli altri che arrivavano si rendevano conto che qualcosa si stava costruendo e che loro aggiungevano un pezzetto attraverso il loro interventi e le loro azioni, e poi gli ultimi, forse i più fortunati, hanno proprio visto che erano dentro questa installazione, questo ambiente fatto di segni stratificati, mancava solo l’ultimo gesto per completare la mostra.

 

Che cosa ha significato per voi essere qui in residenza?
(Alessandro) Quando facciamo formazione siamo noi che incontriamo gli altri, invece qui c’è stato un confronto forte con tutta l’organizzazione ma anche con tutte le persone che frequentano gli spazi.
Questa cosa ci frullava da un po’ nella testa, sognavamo di fare qualcosa di simile a quello che abbiamo fatto nella vetrina. Per me è stato come aprire una porta su un ambito che ci piacerebbe continuare ad esplorare.
(Simona) Avevamo un po’ paura che la vetrina potesse inibire, intimorire, invece ci siamo accorti da subito che non è stato così né per noi né per i partecipanti: perché in realtà non era tanto esposizione, era ponte, era porta, era possibilità di essere in contatto con il territorio.
Questo meccanismo della vetrina mi è sembrato anche un modo per attivare un dialogo tra le persone, gli spazi e la città e che siano le persone stesse a farlo è stato bellissimo.

 

Torna su