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Un ensemble teatrale un po’ Pop: Collettivo PirateJenny al Circolo Everest

Venerdì 14 novembre il progetto cross-mediale nato dal fortunato incontro tra Elisa Ferrari, Davide Manico e Sara Catellani sarà ospite del Circolo Everest con lo spettacolo “Pollicino 2.0”. Loro sono il Collettivo PirateJenny e devono il loro nome alla canzone di Jenny Dei Pirati dall’Opera Da Tre Soldi di Brecht: una canzone dai connotati rivoluzionari e anti-sistema. Dobbiamo aspettarci un vento di cambiamento simile dal loro Teatro-Pop, come loro stessi amano definirlo?

In attesa di vederli dal vivo venerdì 14 novembre e di avere la risposta, ecco l’intervista che ci hanno rilasciato.

I.S.: Come nasce la Compagnia Collettivo Pirate Jenny?
CPJ nasce nel 2011 in occasione di Play with Food, ma in realtà dopo gli anni condivisi in accademia di Susanna Beltrami a Milano avevamo già provato a collaborare dal punto di vista creativo, poi interrotti dal necessario impegno, di tutti e tre, a fare esperienza in Italia e all’estero sotto la guida di altri registi e coreografi. Nasce con la voglia di non dividere i ruoli ma di mediare ogni processo creativo facendolo filtrare dallo sguardo dell’altro. Ovviamente ognuno di noi ha un linguaggio più affine e un modo di vedere la danza o il teatro completamente diverso da quello degli altri, ma lo sforzo di trovare un comune denominatore finora ha portato buoni frutti e risultati inaspettati. Ciò che nasce dal collettivo non assomiglia a nessuno di noi tre, è qualcosa a sé, che però ci appartiene paradossalmente.

I.S.: Se vi dico “teatro” voi cosa mi dite?
Teatro è un mestiere come tutti gli altri dove lo strumento è il corpo, dove c’è fatica, pensiero, conflitti e soprattutto una retribuzione. Non crediamo in una missione salvifica, né nell’ispirazione divina. Ci piace pensare alla Valéry ovvero ad un mestiere che rende necessario ciò che è fondamentalmente inutile. Gli effetti benefici del teatro si sentono solo quando chi lo fa tiene bene in mente il significato del termine NECESSITA’.

I.S.: Tre parole per descrivere il vostro teatro?
POP, comunicativo, leggero.

I.S.: che rapporto avete con la città di Milano?
Milano è la città in cui nessuno di noi è nato ma nella quale tutti abbiamo deciso di vivere. Perché è bellissima, perché è la Città italiana con la C maiuscola. Paradossalmente, come collettivo, a Milano non andiamo quasi mai in scena. Il pubblico Milanese è preparato, ironico, presente, propositivo e disponibile. Gli operatori, i distributori gli enti preposti alle stagioni teatrali forse dovrebbero prendere spunto. Tuttavia realtà come teatro Pim Off, Quelli di Grock, Artedanzaeventi, hanno nell’ultimo anno dato un grande aiuto al nostro progetto artistico. Ne siamo molto felici.

I.S.: dal vostro punto di vista cosa manca sul piano culturale alla città di Expo 2015? Milano può candidarsi ad essere la città della Cultura e del teatro?
Milano è già un crocevia culturale soprattutto per l’arte contemporanea. Non sarà certo L’expo ad aiutarla anzi, da abitanti di Milano ci rendiamo conto che Expo è orientata su altro rispetto alla cultura. Manca un sincero Focus sulle nuove realtà indipendenti lombarde.

I.S.: Se vi dico Everest voi cosa mi dite?
Puntare in alto, sempre.

 

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